Vincitori e vinti nella guerra del virus

Con Medjugorie, i travestiti da Auschwitz e tutto il carnevale connesso non sento alcuna affinità, né estetica né etica. Sono però cauto ad attribuire in modo secco il narcinismo (neologismo coniato da una psicanalista lacaniana, Colette Soler) a queste fronde individualistiche e una sorta di socialismo responsabile alla parte opposta. Rispetto a questi tagli netti mi vien voglia di fare un discorso diverso. Non possiamo non sapere che la stragrande maggioranza della popolazione agisce in modo conformistico e mimetico, spinta dalla paura più che dalla ragione.

Molti amici, nel momento in cui sono chiamati a intervenire nella discussione sulla pandemia, si tirano indietro poiché, non essendo degli esperti, non si sentono a loro agio nel sostenere una posizione o la sua contraria o altre ancora; insomma, non essendo virologi o medici o non praticando altra professione attinente alle infezioni, si sentono di non possedere il green pass della riflessione critica.

Lo dico senza mediazioni: mi sembra una posizione insostenibile. E per più motivi.

Il primo è che di esperti ce ne sono tanti e con posizioni a volte inconciliabili. La scienza non è quindi un’impresa caratterizzata da un pensiero unico. Quelli che parlano da esperti sono quasi sempre del tutto accreditabili per cartiglio professionale: escono tutti dalle Università, più o meno tutti sono impegnati in prima linea in questioni strettamente attinenti alla vicenda della pandemia. Non occorre fare i nomi, li vediamo spesso in TV o altri luoghi virtuali.

La domanda che si pone al cittadino qualunque, quale posso essere io, incompetente delle meccaniche virali, è da cosa sia determinata questa varietà di posizioni. Nella sua semplicità e forse ingenuità è una domanda con un altissimo valore politico che legittima la presa di parola, ci si auspica ben ponderata, su questioni sulle quali non si ha una preparazione specifica. Proprio questa domanda mette il bastone fra le ruote di una narrazione univoca di un determinato problema, sfidando l’egemonia dell’esperto. Si tratta di un presupposto della democrazia poter mettere in questione l’operato dei tecnici.

Ritrarsi dalla critica nei confronti di posizioni date per inequivocabili apre a scenari spiacevoli.

Il secondo punto è che il governo dei tecnici è quanto di più neutro sembrerebbe esserci, ma è proprio dietro questa neutralità presunta che si annidano i maggiori pericoli per la convivenza democratica.

Il sospetto che le differenti letture e risposte alla pandemia siano originate dalle posizioni di potere da cui i discorsi vengo fatti, non solo è legittimo, ma anche un fatto molte volte acclarato. La prospettiva della politica dovrebbe essere esattamente quella di mediare tra le soluzioni tecniche e azioni che devono essere orientate a rappresentare la società in modo più ampio. Uno degli effetti della pressione degli esperti è ed è stato un processo di depoliticizzazione di questa rappresentazione.

Ovviamente c’è un rischio nel dare la parola a chiunque, gli effetti si sono visti perfettamente, ma il caos paventato a causa di ciò ce lo abbiamo comunque grazie agli interventi più autorevoli.

Asserire che i dati scientifici sono inequivocabili mi lascia profondamente insoddisfatto. Ecco perché: cosa ci dice di certo la scienza: siamo esposti ad un agente patogeno pericoloso. Non credo ci sia molto altro, forse radicalizzo un po’. Che tipo di virus è? Di ciò non c’è alcuna certezza, assumo sempre la posizione di chi, cittadino medio come me, attonito e a volte sbigottito, riceve informazioni dalle varie agenzie accreditate. È importante assumere questa posizione perché è quella di chi di virus non sa niente, cioè il 99,99% della popolazione.

È un virus trasmesso dal salto di specie. No, il mercato di Wuhan non è stato la cinghia di trasmissione dell’infezione. È un virus naturale proveniente dai pipistrelli. Il genoma del virus è per il 96% uguale a quelli ospitati dai pipistrelli di Wuhan. Domanda: che significato ha quella differenza del 4%? Non mi pare ci siano risposte, eppure mi sembra una questione rilevante.

È un virus naturale. No è un virus ingegnerizzato.

Potrei proseguire ancora parecchio ma risparmiamoci altre righe inutili. Come si legge non ci sono punti di domanda o esclamativi. Tutte le posizioni e le loro contrarie sono sul tappeto a pari diritto e sostenute da personaggi autorevoli e, come il caso del Nobel Montagnier, autorevolissime.

Dunque il parere dell’esperto non può che essere, appunto, un parere perché la partita della verità, come sappiamo, si gioca sul piano del potere delle pratiche che utilizzano, e si fanno utilizzare, dal sapere. Non possiamo e, lo dico senza retorica, a mio modestissimo avviso, non dobbiamo invocare la scienza come punto dirimente di una questione che è quasi esclusivamente politica e riguarda l’esercizio di determinati poteri. Solo la persona acritica e ingenua si scandalizza di ciò, mentre un discorso critico tiene esattamente al giusto posto tale questione.

Cosa significa tenere al giusto posto?

La tremenda opacità dei discorsi che ogni giorno ascoltiamo genera in una gran parte della società, a ciò predisposta, un ribellismo in un certo senso irrazionale, ma in un altro senso dotato di una sua precisa ratio. Se mi impediscono di comprendere dove sono, allora ribalto il tavolo e chiudo il gioco. Non altro che in questo, penso, possiamo trovare la radice anche di comportamenti se non opportunistici, per lo meno disfunzionali che, nella totalità dei casi, rappresentano comunque una minoranza. Molto più ampio è il numero dei ribellisti puri che si ritrovano tanto tra i vaccinati che tra i non vaccinati. Ora, se guardiamo la cosa con le categorie psicoanalitiche, dobbiamo denotare come paranoici tali comportamenti. Ma detto questo non abbiamo ancora detto niente. Il paranoico è sì paranoico, irrazionalmente paranoico, perché il raggio verde che gli legge il pensiero non esiste. Ma d’altra parte il paranoico è precisamente razionale, perché dà l’unica risposta sensata, per le sue possibilità, ad un tessuto di relazioni che lo hanno marginalizzato totalmente. La struttura friabile della personalità paranoica in definitiva è determinata da un prolungato e strutturale misconoscimento del suo essere e della sua esistenza. In questo vuoto l’identità si perde e per afferrarsi delira di un Altro in grado di riassumere in sé tutti i poteri e, quasi sempre, ogni cattiva intenzione. L’allucinazione di questo Altro è una risposta razionale e non possiamo relegarla nella sfera delle illusioni e disfarcene con un colpo di spugna! Il complotto esiste, questa la posizione anche di Donatella Di Cesare che condivido, ma tutta la differenza sta nella risposta che siamo in grado di dare di fronte a quella opacità di cui parliamo e che, in fondo, è l’oggetto di queste riflessioni.

Da questo punto di vista il risentimento, categoria profetica di Nietzsche, è il primo passo verso la produzione delirante. In questo scenario lo sguardo critico non si scandalizza per il delirio, ma per posizioni che assumono l’inesistenza del complotto. Complotto è la parola brutta che traduce un discorso sull’inaccessibilità all’informazione e sull’opacità del potere.

Anche qui però occorrerebbe fare dei distinguo, perché ci sono diversi livelli e stratificazioni di opacità. Parafrasando Epitteto è saggio parlare di quelle cose di cui è in nostro potere parlare, di ciò che non è in nostro potere è meglio farsene una ragione.

Tutta la verità sulle motivazioni di posizioni e decisioni politiche, in questo caso relative alla pandemia, non la sapremo mai. È l’inconscio dell’istituzione ed è anche la zona d’ombra della nostra soggettività. Poi ci sono delle opacità manifeste e su questo possiamo applicare il principio di Epitteto. Questo è il punto anche in cui la categoria dell’esperto in parte si sfalda ed entra in crisi. Con ciò mi avvicino a considerazioni di merito sulla gestione politica della pandemia, l’unica cosa che conta davvero, poiché da essa dipendono anche i morti. Dovremo in futuro, non so quando, dedicare un tempo di riflessione sulla manipolazione discorsiva che oscura la verità dei morti, non nel senso delle vere cause per cui sono morti, ma proprio ai morti in quanto tali e a come sono stati narrati. Insomma fare giustizia al morto! Ma è un’altra questione.

Le questioni di merito hanno a che fare non tanto con i dati scientifici, ma con il loro utilizzo strategico.

Prendiamo ad esempio l’OMS da cui dipendono i protocolli sanitari adottati ormai da gran parte del globo. Organizzazione mondiale della sanità, è questo il significato dell’acronimo. Quello che inquieta un po’ è l’aggettivo “mondiale”; non ci fa specie, ormai ci siamo abituati, ma dietro quell’aggettivo si nasconde, e qui ritorna la questione dell’occulto, l’immagine di un dominio e di una struttura generatrice di quel Vuoto di cui si parlava. Pensiamo al fatto che questa mondialità è privata, è proprietà di alcuni potenti e quindi al di fuori del controllo delle sovranità nazionali e perciò delle democrazie istituite ed elette dai cittadini. Non troviamo qui una gigantesca contraddizione che dovrebbe mettere in allarme tutti e spaventare molti? Molti, il popolo, qualunque cosa sia, magari non sa che il principale finanziatore dell’OMS è Bill Gates che contemporaneamente ha degli interessi economici nella ricerca virologica, ma l’alterazione che il nome di questo organismo produce a livello psichico, in modo subconscio, viene percepito. Ciò che trasmette la parola “mondiale” è l’immagine di un individuo, un soggetto, totalmente polverizzato e soggiogato da poteri di cui non può percepire il volto. Io credo sia proprio di questa dimensione non del tutto conscia che ci dovremmo occupare quando discutiamo di queste cose. La problematica rappresentata dai no-vax, non i no-vax in sé, ma il fatto di essere considerati il punto di condensazione di ogni male, mi pare risibile rispetto all’esistenza di apparati privati che determinano i destini di intere popolazioni.

Il fatto che non vi sia una contestazione concreta di questo gigantesco conflitto di interessi non va ascritto ad una sorta di real politik popolare, ma alla percezione di quella impotenza che si trova all’origine della paranoia complottistica. Allora qual è il sintomo? Il sintomo è che chiunque parli di queste contraddizioni, anche nelle forme più ingenue, è ormai tacciato di essere un complottista, sognatore, anzi un incubatore, cioè uno perso negli incubi o comunque di essere un ingenuo illuso. L’impotenza generata da queste macchinazioni globali risponde perfettamente alla logica dell’insorgenza della paranoia sociale. Quello dell’OMS è solo un esempio, ma significativo per la nostra questione. Allora il terrapiattista no-vax è un sintomo e come tale lo dobbiamo considerare e tenere al nostro interno. È una forma dell’Altro che è in noi. I terrapiattisti-no-vax sono spesso persone con una cultura media, usciti dalle nostre scuole superiori, magari c’è anche qualche laureato. Non ci interroga forse il fatto che la scuola non ci mette al riparo da queste derive? Si va troppo in là, forse, ma sono riflessioni di fondo che ci devono indicare che i no-vax, ammesso di nuovo di identificare con queste parole una categoria compatta di persone, non sono assolutamente il problema, non solo dal punto di vista politico, ma nemmeno da quello sanitario. Si rimane sbalorditi nell’osservare con quanta insistenza le agenzie di comunicazione e altre forze si impegnino nella demonizzazione di quello che ormai rappresenta circa un 5% della popolazione. Torno così alla questione centrale.

Non bisogna affermare che il problema delle terapie intensive non ci sia, anche se qualche dubbio rispetto alla lettura odierna dei dati rimane. (Ad esempio, la curva dei contagi stava già risalendo prima della diffusione della variante Omicron, in ragione del fatto che vengono fatti molti più tamponi. Agitare lo spauracchio di una nuova ondata sarebbe quindi improprio, anche alla luce del fatto che ormai il governo raccoglie i dati forniti esclusivamente dall’esito dei tamponi, non eseguendo da parecchio un tracciamento serio).

Ora ammettiamo senza riserve che i no-vax intasino le terapie intensive, ma cosa ci dice questo fatto? Ci dice che i protocolli di affrontamento dell’infezione stabiliti dall’OMS sono tutt’oggi in vigore e che un’informazione pubblica e responsabile su altre forme di affrontamento non c’è. Esiste un mainstream? Sì, esiste e veicola precisi contenuti.

Prima di Natale un amico, amministrativo presso il porto di Trieste, non vaccinato, contrae il Covid. La diagnosi è ufficiale nel senso che viene registrata secondo le procedure pubbliche. Viene rispedito a casa e lì rimane quarantenato per 4 giorni senza contatti con nessuno e soprattutto senza interventi sanitari che non siano la comunicazione telefonica del livello di saturazione dell’ossigeno nel sangue. Risultato: finisce in ospedale, per fortuna senza mai correre pericoli per la propria vita, ma con disagi seri. È giovane e sano e se la cava abbastanza bene. Ma mettiamo che arrivi alla diagnosi un sessantenne ecc, ecc!

La stragrande maggioranza dei medici applica il protocollo della vigile attesa e dei presidi sanitari ad esso collegati, in osservanza delle disposizioni emanate dall’OMS che il ministero della salute italiano ha fatto sue in due riprese, mantenendo di fatto inalterato l’impianto di base di tali disposizioni. Molti medici, in ogni caso una sparuta minoranza, si comportano diversamente perché in fondo il medico è libero di procedere con le cure che più gli sembrano adatte, secondo un’ermeneutica dei principi ippocratici del tutto legittima. Ora il punto non è che possiamo dire: bene, se c’è questa libertà e ogni medico non è vincolato da direttive dall’alto, ci troviamo in uno stato di piena garanzia democratica, ma al contrario il problema è esattamente l’opposto: come mai essendoci questa libertà, le direttive dell’OMS sono così seguite, hanno potere anche sui ministeri fino ai singoli medici di base? E teniamo sullo sfondo che l’OMS è di fatto un agenzia privata. Ecco allora che i morti sono anche una conseguenza di questa contraddizione esplosiva che corrode le democrazie dall’interno. Voglio essere più preciso.

Occorre guardare cosa succede all’inizio della pandemia. Lasciamo fuori dalla discussione la situazione dei primi tre o quattro mesi del 2020 in cui nessuno poteva capirci niente. Entra in scena un nuovo patogeno piuttosto aggressivo con le conseguenze che tutti conosciamo.

A gennaio 2020 Moderna ha annunciato lo sviluppo di un vaccino a RNA che garantirebbe l'immunità al SARS-CoV-2. Siamo ancora in fase del tutto sperimentale, tanto che le prime vaccinazioni avverranno con Pfizer il 14 dicembre 2020, mentre in Italia la campagna vaccinale parte i primi di gennaio 2021. Nel mezzo ci sono i lockdown, i morti e tutto quello che ne consegue. Approntare un rimedio in così breve tempo è stato salutato come un trionfo della scienza e senz’altro è un fatto che rappresenta qualcosa di unico nella storia, poiché al risultato hanno concorso anche ingenti investimenti pubblici, tanto a livello europeo quanto a quello USA. Non dimentichiamo che in questo lasso di tempo e oltre, abbiamo assistito ad una grave crisi economica che ha portato ai provvedimenti straordinari che tutti conosciamo. Il gesto inaugurale della campagna vaccinale è stato caratterizzato dalla promessa di raggiungere l’immunità di gregge, cosa notoriamente impossibile data la natura del vaccino che non è del tipo sterilizzante, ma leak, cioè non è in grado di impedire la contaminazione da parte dei vaccinati nei confronti di altri, siano vaccinati o meno. La carica virale è attenuata e in questo sta il senso del vaccino. Anche qui andrebbero fatte delle distinzioni, poiché nel secondo e terzo giorno in cui si è infetti, la carica virale raggiunge un picco che è pari a quella del non vaccinato. Dopo il terzo giorno invece le curve divaricano. La promessa dell’immunità di gregge è stata fatta fin dall’inizio in malafede e le conseguenze sono esplose proprio in questo ultimo mese in cui la valutazione dell’efficacia della copertura vaccinale è scesa drasticamente dai sei mesi dell’inizio della campagna ai tre o due mesi dei nostri giorni, a seconda degli esperti interpellati. Siamo appena approdati al booster che già si parla della quarta dose. Questo è senz’altro un motivo di discredito delle istituzioni che hanno manipolato l’informazione per finalizzare la vaccinazione di massa. Tutto ciò sarebbe anche accettabile se il vaccino fosse l’unico presidio per frenare la pandemia, anche se mentire pubblicamente rimane sempre un atto esecrabile e dalle motivazioni equivoche. Si parla molto, anche tra gli esperti, di errori di strategia comunicativa, ma ci sarebbe tutto un lavoro da fare per separare il grano dall’oglio e distinguere tra errori e manipolazioni. In ogni caso questa narrazione avrebbe un senso se, ripeto, il vaccino fosse l’unica strada percorribile.

Accanto però a questa narrazione ce n’è un’altra, stranamente molto meno nota.

Nell’aprile 2020, siamo ad appena 4 mesi dalla dichiarazione di stato pandemico da parte dell’OMS, McCullough impiega con successo farmaci off label per curare i suoi pazienti gravi, non potendo rispettare la vigile attesa prescritta dall’OMS. Sono pazienti cardiopatici o che necessitano della dialisi periodica. La cosa comincia a diffondersi e culmina nell’agosto dello stesso anno con un articolo in cui McCallough pubblica i risultati delle cure messe in atto precocemente contro il Covid nell’ottavo numero dell’American Journal of Medicine, “Pathophysiologic basis and rationale for early ambulatory treatment of Covid-19”. Ecco alcune considerazioni che McCallough ha rilasciato in un’intervista: “[…] all’epoca c’erano già 50.000 articoli scientifici nella letteratura peer-reviewed sul Covid, ma neanche uno diceva ai medici di medicina generale come curarlo! Quando lo scoprii, rimasi profondamente colpito e quando il nostro articolo – che reca la firma anche di decine di altri medici – fu pubblicato su una delle migliori riviste di medicina, divenne un faro, nonché l’articolo di medicina all’epoca più citato nel mondo. Grazie a mia figlia, realizzai poi un video su YouTube che mostrava 4 slide del protocollo, ed esso divenne immediatamente virale. Ma nel giro di una settimana YouTube disse che esso violava le regole della community. Eppure forniva informazioni molto importanti per aiutare i pazienti nel mezzo di questa crisi, tratte da un articolo pubblicato su una rivista peer-reviewed!”.

Ci sarebbero molte altre pezze d’appoggio a sostegno della tesi sulla discriminazione messa in atto nei confronti delle cure precoci, ma mi fermo qui, poiché possiamo considerare quanto qui riportato come il punto iniziale di una battaglia che ormai è stata vinta dalle case farmaceutiche che promuovono i vaccini. In Italia è avvenuta la stessa cosa: il ministro Speranza si è sottratto sistematicamente ad un confronto con chi sosteneva la validità delle cure precoci. Vanno fatte alcune semplici considerazioni: in un momento di panico generale, in cui non c’è rimedio per un patogeno sconosciuto e aggressivo, arriva un medico molto accreditato sul piano scientifico, con una carriera e con pubblicazioni alle spalle, riconosciuti a livello internazionale, che ti dice che ha una cura. Abbiamo così a disposizione i primi risultati clinici confortanti rispetto alle cure precoci 8 mesi prima dell’inizio della campagna vaccinale, mentre l’articolo apparso sul AJM appare 4 mesi prima del suo inizio. Buon senso vorrebbe che questo tizio fosse ascoltato. Invece viene ostracizzato, ci sono diversi frangenti, anche in rapporto al Senato americano, su cui non mi dilungo, che testimoniano di un processo di messa al bando che culmina nella rimozione del video da Youtube a una settimana dalla sua pubblicazione e 4 mesi prima dell’inizio dell’uso di vaccini. Le date quindi sono importanti: i vaccini non c’erano, ma c’erano delle cure efficaci. Youtube cassa il video affermando non essere adeguato alle linee della community. Cosa significa questo incredibile fatto?

Il cittadino medio e ignorante capisce che c’è un complotto, che qualcuno ha le mani in pasta con queste agenzie d’informazione globale, che sono, ancora una volta, private, a tal punto da determinare le politiche della sua community, una strana comunità. Ma c’è anche un’altra considerazione non meno importante: perché eliminare una fonte di informazione che sostiene che ci sono delle cure, mentre tutti pensavano che ciò fosse impossibile? Forse si è tacciati di paranoia, ma un pensierino vien voglia di farlo: sarà che la pressione delle case farmaceutiche era già ben che dispiegata e si è preferito sacrificare migliaia di persone pur di avere l’esclusiva sulle cure che da lì a 4 mesi sarebbero state introdotte?

Poi ci sono a cascata altre considerazioni, sarò sintetico per raggiungere una conclusione:

  • La politica vaccinale ha implicato un rallentamento considerevole dell’economia, nel periodo dei lockdown mondiali, cosa che avrà delle ripercussioni per decenni. Se si fossero adottate terapie tempestive, come sarebbe stato logico, avremmo un’immunità naturale che è ben diversa e ben più efficace di quella indotta dai vaccini e che, con ogni probabilità, avrebbe scongiurato provvedimenti così estremi. Teniamo presente anche che l’efficacia del vaccino è progressivamente scesa da sei mesi, fino a due o tre mesi, tanto da apparire più una cura che un presidio sanitario preventivo. In questo occorre dare ragione a Cacciari.

  • Le cure precoci avrebbero lasciato libere le terapie intensive, essendo dimostrato che abbattono di quasi il 90% i ricoveri in ospedale (Vd. McCallough 2020 e Menichella 2021). Questo fatto, più che acclarato dai dati, risulta indispensabile a ogni considerazione sulla gestibilità sanitaria della pandemia, specie in questa ultima fase in cui subentra l’obbligo vaccinale fondato sulla retorica che è tutta colpa dei no-vax.

  • Il problema molto controverso del green pass nei luoghi di lavoro, specie quelli non sanitari, avrebbe preso una piega assolutamente diversa. Lo Stato non si sarebbe trovato nella condizione di infrangere surretiziamente le indicazioni della Costituzione. Il governo è andato cauto sull’obbligatorietà per un motivo molto semplice: i vaccini sono ancora sperimentali e, benché usati in stato di emergenza, non hanno seguito il trial previsto dalla FDA o dall’AIFA che richiedono che normalmente un vaccino venga testato almeno tre anni.

  • I contratti con Pfizer e altri colossi farmaceutici sono coperti da segreto. Altra questione che infrange le buone norme della democrazia. Sappiamo da uno scoop di un giornale spagnolo che una delle clausole tenute segrete riguarda le responsabilità, in caso di effetti avversi dei vaccini in questione: essa ricade totalmente sugli Stati sovrani, lasciando in stato di verginità i produttori.

Tutte queste questioni controverse non meriterebbero alcuna discussione se il vaccino fosse e fosse stato l’unico presidio sanitario possibile. Ma così non è e credo dobbiamo lottare contro la pressione scientifico-mediatica che getta discredito, a volte in modo molto violento, contro pratiche che sarebbe un errore considerare alternative. Esse c’erano prima dei vaccini, i quali, a ragione, dovrebbero essere considerati i veri presidi alternativi.

Seguire l’onda di questa pressione ha diverse motivazioni che qui tralascio.

Se si prendesse sul serio la sequenza dei fatti e la violenza comunicativa che ha fatto delle cure precoci un vezzo, una bizzarria e alla fine una protervia irrazionale degli alternativi, dovremmo concludere che attorno a questa faccenda si giochi molto di più che un semplice, anche se inquietante, episodio di affarismo sanitario.

A mio avviso, si tratta di dare inizio a un nuovo modello di società, in cui l’alternativa tra cure precoci e vaccino rappresentano un caso speciale di una guerra che un certo tipo di gestione del potere ha fatto e sta facendo nei confronti di forme di rappresentanza locale e di autogestione delle politiche sanitarie.

Dobbiamo tenere conto che attraverso le cure precoci passa ancora il rapporto del medico con il suo paziente, passa una riabilitazione potenziale del medico di base, insomma una gestione territoriale e diffusa della medicina. Molti medici di Ippocrate.org, del Comitato cure precoci domiciliari e altri non appartenenti a nessuna associazione, come ad esempio, il medico che mi segue, hanno sottratto, con lavoro volontario non retribuito, migliaia di pazienti Covid al ricovero e alla terapia intensiva.

Contro questo modello il vaccino è un’arma formidabile: esso viene erogato centralmente nel rispetto di direttive di cui nessuno conosce le motivazioni fino in fondo; si tratta di un modello di medicina verticale e antidemocratica che nulla a che fare con un processo di condivisione delle pratiche e dei saperi.

Occorre qui ricordare brevemente alcune tappe di questo lento processo di restaurazione che è passato anche attraverso lo smantellamento delle risorse destinate alla sanità pubblica.

La campagna vaccinale del ministro De Lorenzo e del suo collaboratore Poggiolini, quello del puff imbottito di soldi delle tangenti Glaxo, ha portato all’obbligatorietà del vaccino per l’epatite anche per i neonati e i bambini, cosa che non ha nessun senso scientifico. Successivamente nel 2014 è stata la volta della ministra Lorenzin (centro sinistra) a rendere obbligatoria una batteria di vaccini. Un provvedimento molto contestato dai medici. Quella fase è stata preparatoria per quanto vediamo oggi, poiché contro chi osava mettere in dubbio la sensatezza di un simile provvedimento, si scatenava un fuoco incrociato dei media e di altri esperti che hanno portato a più di un caso di sospensione dalla professione medica e, cosa molto più importante, a un silenziamento pauroso di moltissimi medici che non hanno più avuto coraggio di esprimersi. Abbiamo avuto un caso emblematico qui a Trieste: si tratta del dott. De Mottoni che ha rischiato grosso perché aveva espresso non contrarietà, ma la necessità di una maggiore cautela nel ricorso a provvedimenti che sinceramente apparivano inappropriati o non strettamente necessari. Il termine no-vax è spuntato in quell’anno come arma per mettere alla gogna mediatica chi non la pensava come la ministra. De Mottoni, a cui, a suo tempo, il Piccolo di Trieste aveva dedicato un paginone, è o era, tra le altre cose, un omeopata e oggi distruggerlo sarebbe un gioco da ragazzi.

A novembre 2021 ho fatto una profezia: siccome i contratti di fornitura dei vaccini sarebbero scaduti a dicembre 2021, ho ipotizzato che probabilmente sarebbe stata proposta una nuova soluzione, più agile e fruttuosa. E difatti si comincia a parlare con sempre maggiore insistenza della pillola anti-covid, ora, dall’inizio dell’anno, ammessa anche in Italia. Funziona, ma ad una condizione: deve essere assunta nelle prime fasi dell’infezione! Con buona pace della vigile attesa!

Oltre al danno anche la beffa: ma non è quello che dicevano quelli spiantati di no-vax? Sono di questi giorni poi le voci di esperti che manifestano perplessità rispetto alla reiterazione del vaccino e cominciano a prendere in considerazione la necessità di approfondire la questione delle pratiche terapeutiche precoci.

E tutto ciò anche in considerazione del fatto che i farmaci per fronteggiare precocemente il covid sono comuni e costano relativamente poco a confronto con la dose vaccinale, e pochissimo rispetto a un ricovero che si aggira intorno ai 1000€ a posto letto per giorno.

I volontari hanno usato prevalentemente Whatsapp per seguire i loro pazienti, in assenza di una struttura pubblica che li sostenesse, con risultati testimoniati che chiunque può ottenere e che perciò non esibisco qui. Abbiamo un esempio virtuoso nella Regione Piemonte la quale ha fatto proprie, a marzo 2021, queste procedure affiancandole ai vaccini, dopo che Erich Grimaldi, l’avvocato del Comitato cure precoci, ha fatto ricorso al TAR contro la pratiche vaccinali all’insegna del principio della libertà di scelta terapeutica. Non è di poco conto il fatto che il TAR abbia dato ragione a Grimaldi.

Questo per dire che la soluzione di tanti problemi era a portata di mano se si fossero rafforzati i presidi già esistenti, si fosse incentivata la telemedicina e altri provvedimenti a sostegno della medicina territoriale di base, come virtuosamente ha fatto il Piemonte. A monte di questi problemi abbiamo la mancata digitalizzazione del sistema sanitario nazionale che avrebbe potuto portare risparmi per circa un miliardo e mezzo di €/anno.

Inerzia dell’ex ministro della Salute Grillo e di quello attuale Speranza. Di fronte alla richiesta di istituire una conferenza Stato-Regioni, anche Grillo ha negato sistematicamente ogni disponibilità, sottraendosi a quello che poteva essere un momento di svolta nella gestione della sanità pubblica.

Allo stesso modo Speranza non ha mai risposto alle reiterate richieste da parte del Comitato cure precoci di valutare un piano di intervento e di ricerca da affiancare, è bene sottolineare questa parola, al piano vaccinale.

Al momento mi fermo qui, perché sono convinto che un’ulteriore e fondamentale discussione sul ruolo biopolitico degli attori oggi in campo possa essere fatta solo se a monte accogliamo certi fatti e non li scartiamo come del tutto secondari. La narrazione dominante tralascia e oscura una narrazione altra, che non è nemmeno alternativa, ma che è resa ininfluente, secondaria o addirittura irrazionale solo da una ben determinato angolo prospettico che è quello che, criticamente, non possiamo dare per buono e per scontato. Non facendo entrare nella narrazione della pandemia gli eventi legati alle cure precoci ci condanniamo a un dibattito improprio e in parte falso che non può che radicalizzarsi, nella necessità espiatoria di identificare i buoni da una parte e i cattivi dall’altra. Non vi può essere un pensiero critico senza far risuonare la voce dei vinti, per quanto antipatici ci possano apparire. Il pensiero critico deve dare pari dignità tanto ai vinti quanto ai vincitori, in un esercizio che è esattamente il contrario di una presunta neutralità. Tanto più che i vinti non sono migliori dei vincitori e questo ce lo aveva detto già Benjamin.

Il fatto che ci siano delle voci, insistenti e minoritarie, rappresenta il punto di tenuta della verità delle narrazioni maggioritarie, il punto di verifica del discorso pubblico. In questo senso possiamo e dobbiamo riconoscere l’informazione e la controinformazione e soprattutto non identificare quest’ultima con le fake news e la disinformazione.

A mio avviso, l’aspetto più interessante è proprio quest’ultimo, poiché le fake sono il terreno comune tanto di chi si fa promotore di una certa vulgata interessata, tanto del risentimento delirante di chi non si sente riconosciuto. Uno è il doppio dell’altro e sappiamo che tra doppi non c’è conciliazione possibile. La caccia all’ultimo no-vax mi appare segnata da questo conflitto in cui la paranoia va attribuita non solo ai terrapiattisti del vaccino, ma anche alla lucida razionalità dell’affarismo.

Si tratta di una guerra che non lascia feriti e prigionieri sul campo. Ora la difficoltà, io credo, sta nel fatto che il terreno di gioco di questa guerra, appena iniziata, è la vita, la zoe, rispetto alla quale è molto difficile prendere posizione. Chi vorrebbe apparire come un seguace della morte? Di fronte a questo scenario esplode la rincorsa ad un’espansione illimitata delle pratiche securitarie della vita biologica. Draghi lo ha detto a reti unificate e, in modo più mediato, lo ha ripetuto Mattarella nel discorso alle istituzioni e ai partiti del 20 dicembre 2021: i no-vax sono morte!







Commenti

  1. Senza contare il fatto che sono state emanate norme (leggi, decreti, ecc.) che, anche venissero giudicate costituzionali, contengono comunque una miriade di errori ad un livello molto più semplice e basso della costituzionalità.
    Norme che quindi sono non solo illegittime, quindi annullabili se un giudice le valutasse (e intendo non se le valutasse anullabili, ma già se le valutasse, dato che nessuno ancora lo ha fatto), mentre altre sono NULLE già per errori, permettendo comportamenti molto diversi e disinvolti. E invece tutti a far finta che valgono tutte le norme che sono state scritte, proprio tutti: quelli schierati con e quelli scherati contro.

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