Angela Merkel è Punk?

 


Sto leggendo, la sera prima del sonno, una biografia di Angela Merkel scritta da Ursula Weidenfeld e pubblicata da Solferino. Un regalo di Natale esito di qualche simpatica e divertita riflessione sull’uscita di scena de La Cancelliera, questo il titolo della biografia, avvenuta circa un mese fa.

Come da tradizione, il protocollo della cerimonia di congedo dalla principale carica dello Stato non è del tutto rigido, prevedendo l’introduzione di elementi originali scelti per celebrare la propria fine politica.

E qui arriva il bello! Angela Merkel si è fatta salutare da una canzone di Nina Hagen!! Forse per i più giovani è un nome che non dice niente, ma per quelli della mia generazione che, più o meno, è anche quella della cancelliera, la Hagen ha rappresentato la versione tedesca di Sid Vicious, meno la sua irrefrenabile spinta suicidaria.

Invece l’irriverenza, lo sbeffeggiamento del potere e delle convenzioni sociali si ritrovano in entrambi gli artisti (come in molti altri gruppi musicali, del resto).

Ma una cosa è notevole e salta agli occhi: nella Germania Est Nina Hagen era l’incarnazione della ribellione anarchica, mentre Angela Merkel ha rappresentato l’esatto opposto: una vita politica che l’ha vista sul più importante seggio dello Stato Federale per 16 anni. Una stabilità di governo inconcepibile per gli standard italiani.

Occorre dire che la canzone di Nina Hagen eseguita nella cerimonia di congedo era Du hast den farbfilm Vergessen del 1974, qui l’originale, un pezzo pre punk ma che conteneva già tutti gli elementi caratteristici della poetica della cantante: l’ironia graffiante fino al grottesco, le personalità multiple messe in scena e, soprattutto, un virtuosismo senza eguali che non la fa sfigurare nemmeno di fronte a Chaty Berberian con la quale condivide più di qualche elemento nella sperimentazione della vocalità.

La Hagen e la Merkel hanno poco meno di un anno di differenza, la prima è del ‘55, mentre la seconda del ‘54. Entrambe sono nate e hanno vissuto la giovinezza nella DDR. E proprio al regime oppressivo della Repubblica Democratica era rivolto lo sbeffeggiamento della canzone con cui la Merkel è uscita di scena. La storiella è quella di due giovani che vanno a fare una scampagnata, possiamo immaginare con quali intenzioni, ma la ragazza, evocata dalla voce della Hagen, si accorge che il compagno ha den farbfilm vergessen, cioè ha dimenticato il rullino a colori. Il disappunto è sostenuto da una marcetta rinforzata da ottoni che richiama il tipico stile bandistico tanto caro alla tradizione popolare tedesca e che ha anche un vago sapore militaresco.

Il messaggio è chiaro: il regime della DDR è grigio e militaresco e talmente pervasivo che la possibilità di immortalare un momento felice di due giovani è impossibile a causa della rimozione che esso ha operato sulla vita multicolore ed emotiva delle persone. Rimane solo un triste rullino in bianco e nero, segno della miseria di un potere saturo, a rappresentare la mortificazione della felicità e della gioia di vivere.

Questo brano aveva avuto in DDR un successo enorme e crediamo senza difficoltà che la ventenne futura cancelliera lo avesse fatto suo al punto da ricordarlo alla fine del suo ciclo politico.

Seguono delle considerazioni: l’unificazione, o comunque la Germania del capitalismo moderato e sociale, è il rullino dimenticato nel regime socialista? Per la Hagen sicuramente no, perché la sua arte corrosiva si radicalizza proprio venendo a contatto con la libertà conformista dell’occidente, corrosione che però non avrebbe trovato di esprimersi oltre cortina. Forse per la Merkel, al contrario, il conformismo degli apparati istituzionali è proprio il rullino a colori. Cosa triste sembrerebbe.

In ogni caso l’azione politica della Merkel è stata in continuità con il suo predecessore e maestro Helmut Kohl, tutta tesa a rendere nuovamente grande e centrale la Germania in Europa, anche, e forse soprattutto, a scapito dei paesi più deboli. Uno per tutti la Grecia che resta una macchia indelebile sulla sua fedina penale politica.

All’interno dello Stato però la Merkel è stato un importante fattore nel processo di moralizzazione della vita politica, in ciò allontanandosi da Kohl, toccato, assieme al suo entourage, da diversi scandali per corruzione. Da questo punto di vista la Merkel è stata una rottamatrice autentica e non fittizia come un noto personaggio italiano.

Dotata di un’intelligenza non comune, ricordiamo che la Merkel era una fisica, è stata in grado di annoiare fino alla morte le convention del suo partito, la CDU, facendo intervenire scienziati delle diverse discipline che tenevano conferenze indigeste alla quasi totalità dei suoi compagni.

Ecco, si tratta di aneddoti che rafforzano l’idea di una cancelliera dal cardiogramma piatto che si scalda per le vertiginose altezze della scienza, riservate ad una ristrettissima élite. In questo senso il richiamo al rullino a colori suona quasi come un autoironico rimpianto verso una vita, la propria, persa al servizio della Grande Germania. Ricordiamo che in gioventù Angela è stata una seriale organizzatrice di feste che si tenevano regolarmente due volte alla settimana. Ma è tutto qui? Io credo di no.

La Merkel aveva un suo stile direttivo e di governo: inflessibile e anche spietata nel mantenere il suo dominio all’interno del partito, nella sua azione politica era un’attendista scientifica. L’immagine dello Stato che ne è emersa è quella di un organismo che si intromette il minimo possibile nei conflitti e che interviene solo all’ultimo momento, quando ogni altra possibilità di composizione è svanita. In questo senso la sua azione politica è in perfetta continuità con una concezione del liberismo molto continentale e molto poco anglosassone o francese.

Una concezione dello Stato come ente di servizio, che mantiene in sé il minimo possibile di eticità.

Una tradizione che viene inaugurata, o per lo meno prende corpo, dalla visione politica di Willhelm von Humboldt nella sua opera Idee per un tentativo di determinare i limiti dell’attività dello stato, composto tra il 1791 e il 1792 e ripubblicato nel 2019 da Mimesis.

La distinzione e separazione netta tra vita pubblica e quella privata della Merkel è uno specchio di questa concezione in cui le funzione di Cancelliera, la donna più potente d’Europa, non hanno contaminato la concezione di una vita frugale e semplice. Una cosa che mi ha sempre colpito della sua condotta è stata la regolarità della sua presenza in Italia (per anni ha frequentato sempre gli stessi posti) caratterizzata da assenza di enfasi e da nessuna pomposità, priva quasi del tutto di una scorta. Pur determinando o influendo in modo decisivo sulla politica internazionale, evidentemente si sentiva al sicuro, cosa che si è riflessa in una Germania quasi del tutto esclusa dalle mire del terrorismo, al contrario della Francia.

Lo stile di condotta merkeliano ha come altra faccia della medaglia una certa venatura anarchica, caratterizzata dalla contestazione del potere centralizzato che vuole ingerire anche nei costumi e nei comportamenti.

Va ricordata allora la posizione di Humboldt rispetto al rapporto tra comportamenti individuali e l’eventuale risposta dello Stato. Humboldt si spinge a fare degli esempi pratici in cui ipotizza che si verifichino dei rapporti sessuali in pubblico. Come si deve comportare lo Stato? Sanzionare, incarcerare? Niente di tutto ciò: lo Stato deve starne fuori, quello della morale sessuale è un campo che non gli pertiene. Sarà il libero gioco delle forze sociali che si incaricherà di assorbire, rifiutare o accogliere una manifestazione che, ai nostri occhi, potrebbe offendere la morale pubblica. Come si vede in Humboldt c’è un lato anarchico, nel senso non di un disordine, ma nel senso che lo Stato non è il luogo di difesa dei principi morali o di comportamento, a meno che non siano lesivi della proprietà o dell’incolumità delle persone. In questa forma di liberalismo sociale, an-arché corrisponde ad assenza di principio, non ad assenza di governo.

Le idee di Humboldt di riforma della Costituzione allora in vigore non hanno trovato uno spazio di realizzazione piena. Al contrario la Rivoluzione francese ha introdotto nelle nostre società fattori più incisivi. La Rivoluzione del 1789, di poco precedente alla stesura del suo testo, veniva esplicitamente avversata da Humboldt. Anzi ciò che avversava era proprio la Costituzione redatta nella fase Costituente della Rivoluzione, che egli riteneva pericolosamente astratta.

Nell’utopia concreta di Humboldt sono gettati i fondamenti di uno Stato passivo rispetto al benessere dei cittadini e questa impostazione, diametralmente opposta a quella americana che vede in Costituzione il mandato di perseguire la felicità dei cittadini, in un modo o nell’altro è ancora presente sottopelle nell’assetto istituzionale dello Stato tedesco. Un dato a esemplificare questo aspetto che oggi ci tocca particolarmente: il sistema sanitario nazionale riconosce come mutuabili moltissimi approcci alternativi alla medicina scientifica di stampo positivista. Una maturità che in Italia non è mai stato possibile raggiungere. Anzi lo Stato italiano si è erto, certo in modo ambiguo e altamente opaco, a difensore dell’ortodossia scientifica e dei suoi principi. Ecco che quello italiano è uno Stato etico sotto mentite spoglie e quindi non an-archico, poiché fa propri determinati principi. Quello tedesco, al contrario, tendenzialmente si ferma prima e riconosce, nello specifico, che una gran parte della popolazione ricorre a rimedi che in Italia sono ormai classificati come superstizione, come l’omeopatia o il mesmerismo.

L’auto neutralizzazione dello Stato in simili faccende, ovviamente del tutto incompleta anche in Germania, va rilevata come una tendenza inscritta nel genoma politico tedesco.

Ecco allora che Du hast den farbfilm vergessen può suonare anche come un auspicio a non dimenticare mai che lo Stato è al servizio degli uomini, i quali non devono essere considerati sotto il titolo astratto di citoyen, enti astratti al servizio dello Stato.

Allora, dobbiamo dirlo, Angela Merkel un po’ Punk lo è!






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