Aut Aut e Intelligenza artificiale

 


Come pensa la macchina. Incognite 

dell’intelligenza artificiale


Esce oggi il numero 392 di Aut Aut. È dedicato ad un tema di attualità: l’Intelligenza artificiale o IA. Raccoglie i contributi di Marco Pacini, che ne è anche il curatore, Luciano Floridi, Elena Esposito, Viola Schiaffonati, Luca Fabbris, Raffaele Simone, Fabio Chiusi e, della redazione, Raoul Kirchmayr, Edi Greblo, Stefano Tieri, Damiano Cantone e io stesso. È stato un numero caratterizzato da una lunga gestazione, poiché nessuno di noi della redazione è un esperto di queste discipline. Da qui una ben ponderata cautela. I contributi autorevoli che abbiamo ospitato hanno senz’altro contribuito a mitigare questa difficoltà e ad arricchire la riflessione su quella che possiamo considerare una vera e propria rivoluzione. Come ogni rivolgimento reale, essa porta con tratti luminosi, ma anche zone d’ombra che ci inquietano o di cui facciamo fatica a capire le implicazioni per le nostre vite e per le strutture istituzionali che regolano le nostre società avanzate.

Svolgere una riflessione critica sulla IA non è cosa semplice, poiché è d’obbligo non lasciarsi andare ad una demonizzazione dei risultati, estremi, della tecnica, ma, allo stesso tempo va evitato l’elogio delle magnifiche sorti progressive. Rendere conto del tempo implica allora rendere conto delle ambivalenze e anche delle ambiguità che ogni movimento della storia alberga in sé. Tradotta, all’interno del numero, la questione si pone a livello di considerazioni orientate a leggere lo sviluppo dell’IA in tutte le sue forme, come un evento ineluttabile che non conosce freni. Sul versante opposto si sostiene invece che il possesso dei codici, garantisce all’umanità il pieno controllo di quella che potrebbe configurarsi come un competitor dell’umanità.

Ma ci sono contributi anche di tenore epistemologico che aprono ad una interessante visuale sulla trasformazione delle procedure sperimentali, volte all’implementazione dell’IA. In particolare, semplificando, la sperimentazione sull’IA si troverebbe a metà strada tra il paradigma di ricerca fisico e quello biologico, in quanto non vi sarebbe la possibilità nell’ambito dell’IA di prevedere a pieno l’esito delle procedure che mettiamo in atto. Non mancano i riferimenti ai pericoli per la tenuta della democrazia, messa in crisi dallo strapotere di chi è in grado di raccogliere, analizzare e utilizzare per fini più o meno nobili, i dati di profilazione che tutti noi garantiamo alle mega agenzie che lavorano in questo settore, utilizzando semplicemente il cellulare, ma anche l’automobile o il frigorifero, nella misura in cui sono ascrivibili a quella classe di oggetti che è raccolta sotto il titolo di internet delle cose. Infine il mio contributo, Vita artificiale, si propone di mettere in luce il salto che l’esplosione del dominio tecnico ha impresso alle nostre società e, non credo di esagerare, alla civiltà mondiale. Il paradigma della teologia politica, che si è incaricata di leggere la nostra storia nel rapporto conflittuale o sinergico, a seconda del momento, tra Stato e confessione religiosa, oggi sembra aver esaurito il suo potere descrittivo. La tecnica, di fatto, ha la stessa struttura delle confessioni religiose, veicolando un ben determinato immaginario. La scommessa del mio contributo sta essenzialmente nel tentativo di utilizzare i miti pre giudaici e cristiani per leggere il presente. Essi erano costitutivi della riflessione teologico politica. Quelli sumero accadici invece mi paiono più evocativi e incredibilmente in risonanza con quella fase che, forse impropriamente, denoterei come il tempo della teologia tecnica. Un tempo apocalittico, nello stretto senso del termine, cioè un tempo che rivela ciò che era parzialmente velato. L’articolo quindi non si propone di capire come pensa la macchina, ma come pensiamo noi, mentre pensiamo alla macchina che pensa.


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