Ultimamente si parla di fantasmi!
Da più parti sembra che gli ectoplasmi
stiano godendo di un'insperata fama. Ne è un esempio Il filo
nascosto, il film di Anderson che vede interprete principale
Daniel Day Lewis. Il titolo originale è The phantom thread
che significa appunto Il filo fantasma; ma thread
significa anche ombra, apparenza o finzione. È però anche una
parola che in inglese viene usata nel lessico della fotografia e dei
film, indicando “inserire” (un'immagine) in una sequenza, o
“caricare” un rullino fotografico (quando ancora c'erano!).
Allo stesso modo il thread della
narrazione non è solo quello del cucito o la trama del film nel suo
complesso, ma anche l'immagine inserita “tra”, in un'operazione
di montaggio di cui non ci accorgiamo, al pari dei messaggi nascosti
tra le pieghe dei fastosi vestiti confezionati dal maniacale sarto.
Per chi sono quei messaggi che nessuno potrà mai leggere e della
cui esistenza sa solo il creatore del vestito? Leggendo qua e là
le diverse recensioni al film, non mi sembra che la cosa sia stata
affrontata. A me sembra un fatto rilevante.
Ripercorrendo il film vediamo che la
compagna di Woodcock, Alma Elson, si imbatte in uno di questi
messaggi divenendo, all'insaputa di Reynolds, partecipe di quella che
appare niente più che una bizzarra abitudine. Sembra appunto, perché
è a partire da questa scoperta che il rapporto amoroso tra i due
cambia registro.
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Una scena del film "Il Filo Nascosto" |
Il cuore narrativo è il vestito
scomparso della madre di Reynolds, l'immagine stessa della madre.
Come può essere pensata la madre? Nuda, come Dio l'ha fatta?
Assolutamente no, ne risulterebbe un'insostenibile spoliazione ed una
tragica de identificazione. È vestita, ma come è vestita? Con un
vestito che è andato perduto e la scomparsa del vestito raddoppia
l'assenza della madre del protagonista, che ovviamente allo stesso
siamo tempo tutti noi. Ecco a cosa serve il messaggio nel vestito,
una sorta di messaggio nella bottiglia del naufrago: a richiamare
alla presenza un fantasma, l'immagine perduta della madre, nel
tentativo, ripetuto ossessivamente, di ricomporla e di mandare un
segnale al fantasma che però non risponde mai. Reynolds trova in
questa contraddizione l'energia della ripetizione, della sua
ossessione, del suo perfezionismo artistico e non ultimo anche il suo
irrigidimento esistenziale.
Il fantasma non deve rispondere, pena
un'infrazione fondamentale delle regole del gioco della soggettività.
A meno che...A meno che non avvenga qualcosa di imprevisto, un Evento
che fa inceppare questo gioco e che mette a repentaglio la potenza
del fantasma della madre: l'arrivo di Alma. Anderson è magistrale
nel raccontare il loro primo incontro, con pochissime parole e
sfumature espressive del volto, una piega appena accennata del volto,
ci fa percepire che i due sono avvinti da un legame a-storico, si
conoscono da sempre e si permettono confidenze che ci lasciano
perplessi ad una lettura superficiale del film. Ma questo è
proprio quanto succede negli amori che toccano i nostri legami
fantasmatici: si ha l'impressione di essersi sempre conosciuti, di
essere lì per l'altro e soprattutto che l'altro è qui per noi.
Alma, da iniziale ingenuotta figura femminile che, con le sue
goffaggini, preannuncia il grande inceppamento, diviene la “Rivale”
del fantasma e della sorella che ne rappresenta un'incarnazione in un
certo senso legittima ma precaria. Alma assolve la sua funzione e il
suo ruolo con una forza ed una determinatezza che ci fanno capire che
la storia non è quel che sembra: si tratta di una lotta per la vita
e per la morte. E qui sta la grandezza del film: questa lotta non si
svolge in luoghi o momenti epici o spettacolari, ma sul filo
della memoria. Alma vince tutte le partite manovrando con abilità e
ambiguità il suo rapporto con Reynolds: lo spettatore non capisce
dove finisca la manovra di potere di Alma e dove inizi un suo vero e
proprio progetto amoroso. È il prezzo da pagare per fronteggiare
e porsi in relazione con il fantasma: ambiguità totale! E di
fatto Alma riempendo lo strumento principale del sarto, il ditale,
con un fungo velenoso, permette ad un Reynolds delirante di
incontrare in visione la madre, di parlarle a tu per tu, non venendo
mai meno la posizione di silenzio e di assenza dell'immagine materna.
Omicidio e apertura di una via di fuga in un amore autentico si
trovano mirabilmente congiunti. Si potrebbe proseguire ancora molto
su questa strada. Una cosa chiara Anderson ce la dice: trattare
con il fantasma è cosa da morituri, da gente che pratica le vie
della morte e che proprio da ciò trae forze da dare ad un'incessante
opera di amorevole sublimazione. La scena del secondo
avvelenamento è una delle più belle scene d'amore mai viste,
ricolma di affetto e complicità tra i due. Anderson esercita tutta
la sua furba arte in queste scene finali: suggerisce allo spettatore
che Reynolds, accorgendosi delle intenzioni della moglie, scoppi in
un esplosione d'ira, rivoltandosi contre le manipolazioni femminili.
Ma niente di tutto ciò accade, il regista infila l'ultimo lembo
d'immagine con lo stesso filo con cui è costruito l'intero film.
Un amico, Luca, mi ha fatto notare che
tra “thread” e “threat”, tra filo e minaccia ne va solo di
una “T”.
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