Sulla violenza e la sua continuazione

A partire dalla prefazione di Sartre al testo I dannati della terra di Fanon, svolgo alcune riflessioni sull'idea sartriana di gruppo in fusione. È un concetto che Sartre utilizza per delineare i termini della contro-violenza dell'algerino colonizzato. Sullo sfondo un confronto con il testo Sulla violenza del 1970 di Arendt e quello di Butler Violenza-non violenza apparso su Aut Aut 344. Il testo completo lo potete leggere qui ed è stato realizzato come sedimento del dibattito interno al Cantiere Marx della Scuola di filosofia di Trieste 2017.

Dalla prefazione di Sartre riceviamo l'impressione che i colonizzati si muovano in modo compatto, quasi fossero un agente con una volontà determinata e orientata; non si può fare a meno di pensare all'idea di gruppo in fusione sviluppata da Sarte nella Critica della ragione dialettica nello stesso torno di tempo. Rispetto a questo si tratta di salvare Sartre da se stesso poiché se in CRD il concetto di gruppo in fusione viene articolato criticamente, mostrando il destino tragico di questa fusionalità, nella prefazione anche questa problematizzazione scompare. In CRD è chiarissima l'idea di Sartre per cui il gruppo in fusione, una volta terminata l'azione, la praxis che lo faceva esistere, si trova di fronte al vuoto delle macerie prodotte dalla praxis stessa. È il terrore di questo vuoto che produce la caduta nell'inerzia e nella istituzionalizzazione del gruppo. In Algeria come nella Rivoluzione francese, costante riferimento storico di Sartre, attraverso il passaggio dal movimento puro alla simbolizzazione, si gettano le basi della costituzione di un istituzione che poi diverrà sistema. Il gruppo in fusione costituisce la propria libertà nella praxis che mette in scena, una scena che appare vitalistica e vero motore della rottura della storia, vero fattore di cambiamento, anche se immediatamente passibile della propria morte. È singolare che la prefazione a Fanon inizia quasi da subito con una stoccata a Sorel, definito fascista. Singolare perché le affinità tra i due su questo punto sono evidenti. Ma anche salvando Sarte da se stesso, è opportuno sottoporre a critica l'idea di gruppo in fusione. Questa critica riguarda il concetto di fratellanza che sta alla base della fusionalità. 

I dannati della Terra, Franz Fanon
L'idea che Sartre ci passa è che questa fratellanza sia in qualche modo pura rispetto alle logiche di potere e di dominio a cui poi sarà soggetta. In essa l'individuo è parte di un gruppo, quasi in un movimento di autosoppressione. Il tipo infatti di comunità in cui gli individui si giustappongono gli uni agli altri e non sono quindi sottoposti a questa negazione di sè viene detta da Sarte collettivo. Se dobbiamo attenerci agli esempi che Sartre ci fornisce, la praxis del gruppo fusionale ha sempre a che fare con la distruzione e quindi con una qualche forma di violenza. Ora il punto è comprendere se questa violenza sia l'effetto del contromovimento insito nella fusionalità e da questa generato involontariamente, oppure se sia insita nella fusionalità stessa, se cioè la purezza del gruppo sia un dato reale oppure un'invenzione letteraria di Sartre. Propenderei per questa seconda ipotesi e a sostegno di ciò vorrei porre il problema di quale sia la scena prima del momento fusionale: chi sono i soggetti che si uniscono per dare vita ad un atto in cui trascendono se stessi e in qualche forma si superano come singolarità?

Io credo che il “giuramento”, cui fa riferimento Sartre e che formalizza l'inizio dello scacco del gruppo che verrà poi inghiottito dalla propria inerzia, ci sia già a monte, in una dimensione magari ancora in parte implicita, ma non per questo meno reale ed efficace. Prima del giuramento c'è il patto, magari tacito o per stretta di mano, che impone ad ognuno di essere garante per l'altro nel momento del rischio. Ma il rischio che si è disposti a correre per altri, non è certamente dettato da un altruismo disinteressato, ma è stretto in vista dei benefici che si possono ottenere dall'azione violenta stessa. Si tratta quindi di un patto in un certo senso sempre “scellerato”, anche se in determinati casi necessario. Di questo patto Sartre non fa menzione, tutto teso a cogliere quell'evento della storia in cui la storia parla in prima persona attraverso la soppressione dell'io dei soggetti. La consapevolezza però di essere portatore di un interesse particolare, il soggetto, anche in situazioni estreme, non la perde mai, anche se dobbiamo dire che l'esercizio della violenza è sottoposto ad una legge per cui, sempre, ad un certo punto, da strumento diviene fine. C'è sempre un momento in cui mezzi e fini si confondono a tal punto da coincidere rovesciandosi. Non si deve confondere però la dimenticanza dei fini particolari nel momento dell'azione collettiva con la loro assenza. Questi interessi particolari, sempre potenzialmente e fattualmente in conflitto con quegli degli altri, non cessano mai di esistere, anche se per un momento si trovano sospesi.

Hannah Arendt
Viene da ricordare il bellissimo film di Malick La sottile linea rossa, in cui nell'assalto finale al colle presidiato dai giapponesi, il gruppo di soldati americani da agenti di una violenza necessaria per lo svolgimento della guerra, divengono agiti dalla violenza stessa, varcano quella sottile linea rossa appunto, al di qua della quale la violenza sembra ancorata al diritto e al rispetto del nemico, ma superata la quale mostra il suo vero volto fatto di sopraffazione e di uccisione gratuiti. È il punto in cui non solo i protagonisti vengono trasformati radicalmente, ma anche la vicenda individuale si congiunge in modo tragico con il grande movimento della storia svelandone per un momento l'abissalità e l'incomprensibilità. Nell'azione pericolosa si genera una sorta di fraternità che si mantiene anche in seguito nella misura in cui il fine dell'azione violenta sta al di là delle singole responsabilità: si compie il proprio dovere sollevati dalla responsabilità delle decisioni. A contrario, la fratellanza nata dal rischio assunto in proprio ha un destino tragico poiché, quando termina, esalta le particolarità presenti fin dall'origine dalla formazione di un gruppo che si prefigge un'azione collettiva. Per Arendt la cosa più temibile è l'azione collettiva violenta, poiché in essa “il primo valore a scomparire è quello dell'individuo”.

La violenza collettiva stringe un patto più forte, ma più effimero di altre forme di patti quali quelli dell'amicizia o da altre forme contrattualistiche implicite o esplicite inerenti a determinate forme di intrapresa. Per Fanon nella situazione di rischio, l'altruismo è un fatto quotidiano. La vicinanza alla morte proietta il soggetto in una collettività sulla quale riversa ogni aspirazione di immortalità. È il gruppo l'eterno soggetto che persiste al di là del soggetto individuale. Ma anche questa eternità, non è solo effimera per ovvi motivi, ma è soggetta al tempo in quanto evocata dalla presenza del nemico. Senso di eternità che, al pari della comunità che lotta per la propria liberazione, investe anche il Nemico quale incarnazione di un male che è sempre fantasticato come sovrastorico.

Commenti

Post più popolari